16 novembre 2012

Templari e labirinti: lo strano caso del “Cristo nel Labirinto” di Alatri


di Giancarlo Pavat

Sabato 21 aprile 2012, nella sala della Biblioteca Comunale “L. Ceci” di Alatri, in provincia di Frosinone, è stata presentata la conclusione dei restauri dell’enigmatico affresco del “Cristo nel Labirinto” che si trova in un cunicolo del Chiostro di San Francesco, adiacente all’omonima chiesa
Erano presenti il sindaco Giuseppe Morini, il consigliere con delega alla Cultura Carlo Fantini, il senatore della Repubblica Oreste Tofani, la dottoressa Graziella Frezza, responsabile di zona della Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici che ha curato il restauro, i restauratori Sergio Salvati ed Antonella Docci di Roma, e molti dei ricercatori e studiosi che nel corso degli anni si sono occupati del misterioso affresco.

Dopo i saluti di rito, il consigliere comunale alatrense con delega alla Cultura, Fantini, ha voluto ricordare l’impegno dell’assessore suo predecessore, Giulio Rossi, ma ha citato pure i nomi dei tre scopritori dell’affresco nel lontano 1996, Ennio Orgiti, Paride Quadrozzi ed Orestino Fanfarillo e, soprattutto, ha avuto parole di ringraziamento per il sottoscritto.
Sin dal 2006 mi sto infatti occupando di ricerche relative all’affresco con il “Cristo nel Labirinto”, che hanno portato ad alcune significative scoperte, tra cui l’identità del percorso del labirinto di Alatri con quello del famosissimo labirinto che decora il pavimento della navata centrale della cattedrale di Chartres in Francia e a quelli di almeno altri cinque labirinti: Santa Maria in Aquiro a Roma (ormai scomparso), Lucca, Pontremoli, Pavia (tutti in Italia) e Grinstad, nella Svezia sud-occidentale.
Questa mia scoperta ha dato il via all’attenzione ed all’interesse, sia in Italia che in Europa, per il labirinto alatrense ed ha contribuito, come ricordato dalla dottoressa Frezza, a far ottenere dal Governo Italiano il finanziamento di 100.000 euro per il restauro.
In questo modo si è ottenuto il salvataggio di un affresco unico al mondo, che versava in cattive condizioni e rischiava di sparire per sempre.

Durante la presentazione dei lavori di restauro, anche la dottoressa Frezza mi ha ringraziato per quanto ho fatto per l’affresco, dandomi anche il merito della grande risonanza mediatica e dell’opera di divulgazione portata avanti circa il “Cristo nel Labirinto”.
La dottoressa Frezza ha quindi illustrato le varie fasi del restauro, le procedure adottate e l’opera di sistemazione del cunicolo in cui si trova l’opera d’arte, catturando letteralmente l’interesse del pubblico, laddove ha spiegato come, grazie ai restauri, sono stati risolti alcuni degli enigmi legati all’affresco. Enigmi sui quali, come si ricorderà, si è scritto di tutto ed il contrario di tutto, generando una serie di tesi e millantate scoperte che hanno certamente nuociuto alla ricerca della verità.

Desidero, in questa sede, riepilogare alcuni degli elementi illustrati dalla dottoressa Frezza, anche e soprattutto per fare il punto dello stato dell’arte delle ricerche sul “Cristo nel Labirinto”. Vediamo, per prima cosa, le conferme emerse dai restauri.
Sono state avvalorate, senza ombra di dubbio, alcune mie scoperte; il labirinto è unicursale, è formato da 12 circonferenze nere e 12 bianche (compreso il cerchio centrale dove si trova la figura di Cristo) ed il percorso è indiscutibilmente identico a quello del labirinto di Chartres.
Il Cristo è barbuto, con una croce rossa inserita nell’aureola, e questo stronca definitivamente la tesi avanzata da alcuni ricercatori, secondo i quali si tratterebbe del Padreterno o di qualche profeta del Vecchio Testamento. Iconograficamente parlando, la presenza della croce nell’aureola indica sempre e soltanto che il personaggio ritratto è Gesù Cristo. La sua tunica è bianca e il mantello d’oro. Sia la figura di Cristo che il labirinto sono stati realizzati contemporaneamente e, molto probabilmente, da un solo artefice.

I restauratori, il dottor Salvati e la dottoressa Docci, hanno pure illustrato alcuni nuovi particolari e decorazioni simboliche scoperte durante i lavori, in particolar modo nel terzo ambiente del cunicolo (ora il primo a cui si accede dal nuovo comodo ingresso). Un mondo inaspettato si è aperto agli occhi dei restauratori e, adesso, anche a tutti coloro che si affacceranno al chiostro di San Francesco. Sotto centimetri e centimetri di sporcizia, accumulatasi nel corso dei secoli, attendevano pazientemente intere pareti ricoperte da pitture raffiguranti tralci vegetali, coloratissime circonferenze, altri “Fiori della Vita” ed altre simbologie, come spirali, stelle, “triplici circonferenze” di diversi colori, decorazioni vegetali ed anche un “velarium”.

Ma ancora più interessanti sono le smentite e le sconfessioni soprattutto di quegli elementi che hanno fatto a lungo parlare, scatenando dibattiti e sollevando polveroni che per poco non hanno bloccato i lavori di restauro.
I restauratori non hanno infatti trovato alcuna traccia delle fantomatiche “due teste” che alcuni ricercatori, nel settembre del 2011, asserirono di aver individuato ai lati di quella principale del Cristo. Dichiarazione che suscitò molte polemiche.
Parimenti, non vi è alcuna traccia del “serpente” che, nella primavera del 2009, uno studioso locale dichiarò di aver scoperto dipinto mentre esce dal labirinto e viene afferrato dalla mano destra del Cristo.
Vale la pena ricordare che, sin da subito, io stesso ed altri studiosi come Adriano Forgione, direttore della rivista “Fenix”, Tommaso Pellegrini e Marco Di Donato, dopo aver analizzato le fotografie con particolari software e, soprattutto, osservato l’affresco dal vero e da una distanza ravvicinata, escludemmo la presenza del rettile.
Quei segni, che avevano tratto in inganno, non sono altro che colpi di spatola per la stesura dell’intonaco su cui è stato poi affrescato il “Cristo nel Labirinto”.

Ma se il “Cristo trifacciale” (o “tricipite”) ed il “serpente” non avevano mai convinto la stragrande maggioranza degli studiosi ed appassionati, altro discorso vale per l’anello che Cristo sembrava portare all’anulare della mano sinistra. Era talmente evidente, che non vi sembravano dubbi in proposito. Invece, dai restauri, è emerso che quello che sembrava appunto un anello, era semplicemente un distacco dell’intonaco, come ha esaurientemente spiegato lo stesso dottor Salvati.
Tra l’altro, non c’è nemmeno la mano che “esce dal labirinto”. Anche in questo caso, a trarre in inganno sono stati i segni sull’intonaco prodotti dalla spatola. Invece, Cristo, con la mano destra, benedicente con le dita indice ed anulare stese e le altre piegate, indica proprio l’ingresso del labirinto, mentre con la mano sinistra regge il Libro delle Sacre Scritture.
Sia il “Cristo trifacciale” che il sinuoso rettile sono stati utilizzati da diversi ricercatori come prova del fatto che a realizzare (o far realizzare) l’affresco fossero stati i Cavalieri Templari, seguendo l’assurdo assioma che, trattandosi di elementi certamente eretici, non potevano che essere attribuiti ai Templari, dando per scontata una eresia che non è mai stata provata e che, a mio modesto parere, non è mai esistita.

L’affresco è assolutamente canonico, anche se fa riferimento, ovviamente, ad un cristianesimo simbolico tipicamente medievale (la datazione è stata confermata risalente ad un arco temporale che va dal XI agli inizi del XIV secolo), certamente ritenuto non appropriato (ma non eretico) dalla Controriforma e forse per questo si decise di ricoprire con l’intonaco l’intero ciclo figurativo.
I restauri non sono però riusciti a chiarire l’enigma della committenza, come non hanno potuto determinare che cosa fosse, in passato, l’ambiente in cui oggi si trova l’affresco. Non era certamente un’intercapedine o cunicolo ma, più probabilmente, la parete terminale di un’ampia sala, forse capitolare, di un monastero. Difficile pensare ad una navata di una chiesa.
Se la presenza dell’Ordine del Tempio ad Alatri, pur mancando documenti storici in tal senso, appare molto probabile, come sembrano confermare diversi indizi, tra cui una inveterata tradizione locale che indica l’esistenza di un ospizio (oggi scomparso) per i pellegrini nei pressi della Porta urbica in opera poligonale di San Benedetto, vicinissima, in linea d’aria, al chiostro di San Francesco, discorso diverso vale per l’attribuzione della committenza.

Scartate definitivamente le “suggestioni eretiche”, l’attribuzione all’Ordine, avanzata sin dal 2002 da Gianfranco Manchìa, all'epoca direttore del Museo Archeologico di Alatri, sul numero 1 del periodico "Antichità alatrensi", rimane comunque in piedi, basata sulla presenza nel ciclo affrescato di determinate simbologie, “Fiori della Vita”, “Spirali”, Triplici Circonferenze”, “Stelle”, riconducibili anche (e sottolineo, anche) ai Templari.
Questi simboli sono rinvenibili anche presso chiese e monasteri appartenuti, ad esempio, ai Cistercensi che, tra i candidati alla paternità del ciclo pittorico simbolico, oltre ai Templari, fanno buona compagnia ai Francescani, nella cui già citata chiesa, adiacente al chiostro, sorta nella prima metà del XIII secolo e dedicata al “Poverello d’Assisi”, si trova l’ormai celebre “croce patente” di colore rosso, inscritta in una circonferenza, che per la sua effettiva somiglianza a croci presenti in chiese e siti indubbiamente appartenuti all’Ordine, è ritenuta una delle “prove” dell’insediamento dei “Cavalieri dai bianchi mantelli” nella cittadina ernica.

In molti hanno pensato che lo “zampino” dell’Ordine, nello “strano caso del Cristo nel Labirinto”, potesse trovare riscontri nella vicenda dei sette labirinti medievali (tutti coevi, è bene ricordarlo, al periodo di esistenza dei Templari), citati all’inizio di questo articolo e tutti riconducibili al modello “Alatri-Chartres”.
Si è voluto, anche in questo caso forzatamente, che i Templari fossero gli autori di questi labirinti sparsi in giro per l’Italia e l’Europa, quando, soltanto per uno, quello svedese, sul quale si è investigato personalmente, esistono elementi oggettivi in tal senso (tra l’altro nella chiesetta duecentesca svedese abbiamo rinvenuto simboli identici a quelli alatrensi, come il “Fiore della Vita” ed una “Croce patente” rossa dipinta contestualmente ed a pochi centimetri di distanza dal labirinto, anch’esso verticale, che decora un parete volta a mezzogiorno (proprio come nel chiostro di San Francesco).
Per gli altri labirinti, di Roma, Lucca, Pontremoli, Pavia e Chartres, gli autori sono assolutamente ignoti, anche se, pure in questi casi, sono stati tirati in ballo i Templari.

Ma è bene, per amore di onestà intellettuale, chiarire subito una cosa. Sebbene i Templari, come gli altri ordini sia regolari che ospitalieri e cavallereschi, abbiano utilizzato molti simboli, ad oggi non esiste alcuna prova che abbiano mai realizzato o commissionato labirinti. In nessun luogo d’Europa o del Mediterraneo.
Per smentire tali asserzioni viene di frequente citato un labirinto d’erba, oggi scomparso, che si trovava in località detta Tarry Town, nel villaggio di Temple Cowley, poco distante da Oxford, in Inghilterra. Non era del modello “Alatri-Chartres”, in quanto aveva soltanto cinque circonferenze, ma l’attribuzione ai Templari (che si ritrova in molti libri inglesi sui labirinti), con tanto di affermazione che veniva usato per riti iniziatici o qualcosa del genere, si basa su un falso clamoroso, per fortuna categoricamente smentito da Jeff Saward, uno dei massimi esperti mondiali di labirinti, da me personalmente sentito in merito.
E’ vero che nel villaggio di Temple Cowley è esistita una ”mansio” templare ma il labirinto in argomento (che tra l’altro si trovava all’aperto e non in una chiesa o altro edificio sacro) venne realizzato, quasi certamente, non prima del XVII secolo, quindi ben dopo la fine dell’Ordine.

Molti dei misteri relativi al “Cristo nel Labirinto” di Alatri rimangono, per ora, inviolati, anche se le ricerche stanno continuando e chissà che, a breve, non emergano ulteriori novità.
Ma, al di là degli enigmi svelati e di quelli che ancora conserva, non dobbiamo scordare che è stata finalmente restituita a tutta l’Umanità un'opera d’arte unica al mondo, che raffigura Colui che, a distanza di secoli, è ancora lì ad indicarci la via in mezzo al labirinto, che rappresenta la vita di tutti i giorni, per aiutarci, per farci raggiungere la meta, il premio a lungo atteso: la Verità.