23 dicembre 2013

I libri del 2013


Giovanni Amatuccio (a cura di)
Il vero Codice dei Templari. Regola, Statuti e altre norme
Amazon.co.uk Ltd
Autore della più recente e completa edizione critica del "Corpus normativo templare", Giovanni Amatuccio ne propone qui la traduzione italiana integrale, organizzata e suddivisa secondo criteri contenutistici.
Voto: 8/10

Luigi Avonto
I Templari in Piemonte. Ricerche e studi per una storia dell’Ordine del Tempio in Italia
Società Storica Vercellese
Importante riedizione dello studio di Luigi Avonto, apparso sul n. 18 del Bollettino Storico Vercellese e successivamente ampliato nel volume edito dalla stessa Società Storica. Configuratosi sin dall'uscita come uno dei più importanti lavori sui Templari realizzati in Italia, resta attualmente il saggio più completo sulle vicende dei Cavalieri del Tempio in territorio piemontese.
Voto: 9/10

Sandro Bassetti
I Templari a Viterbo
Intermedia Edizioni
Un libro, questo di Bassetti, che non presenta alcuna novità sostanziale circa gli insediamenti templari nel viterbese. Quantomeno inopportune, appaiono, inoltre, diverse affermazioni contenute nel capitolo riguardante "croci patriarcali e croci patenti".
Voto: 5/10

Maria Grazia Bulla Borga
La gastaldia templare e la commenda gerosolimitana di S. Silvestro in Villaga fra duecento e primo ottocento
Comune di Villaga – Vicenza
Eccellente studio della professoressa Maria Grazia Bulla, annunciato da anni e più volte rimandato. Considerato l'esito delle ricerche condotte dalla studiosa vicentina, si può dire che l'attesa non è stata vana. Un bellissimo volume.
Voto: 8/10

Mario Dal Bello
Gli ultimi giorni dei Templari
Città Nuova Editrice
Onesta ricognizione storico-cronachistica, che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già conosciuto sull'epilogo dell'Ordine.
Voto: 6/10

Mario De Marco
L'Ordine del Tempio. Il processo ai Templari salentini e il sequestro dei loro beni a Lecce
Edizioni Formamentis
Ad una esposizione di carattere generale sull'Ordine, peraltro costellata dai soliti luoghi comuni, fa seguito un resoconto sulle vicende giudiziarie dei Templari salentini, basato sullo studio del processo di Brindisi contenuto nell'opera di Konrad Schottmüller.
Voto: 5/10

Orazio Ferrara
Il saio e la spada. Ordini cavallereschi e ospitalieri medievali
Capone Editore
Utile manuale, contenente diverse informazioni interessanti su alcuni ordini medievali meno conosciuti. Tuttavia, ci troviamo in netto disaccordo con la tesi riguardante la presunta origine italica del primo maestro templare, di cui l'Autore è uno dei maggiori sostenitori.
Voto: 6/10

Mauro Giorgio Ferretti
Le orme dei Templari in Italia
AIEP
Riedizione completa e aggiornata dei tre volumetti precedentemente pubblicati dall'Autore, tuttora alle prese con siti mai appartenuti al Tempio, improbabili "geografie sacre templari" ed altre amenità esoteriche che nulla hanno a che fare con l'Ordine storico. Il neo-templarismo è una cosa, i Templari un'altra.
Voto: 4/10

Giorgio I di Seborga
I Templari a Seborga
Araba Fenice
Solo per informazione: questo libro non tratta dei Templari storici.
Voto: n.g.

Filippo Grammauta (a cura di)
Templari, Massoneria e chiese cristiane. Tra evoluzione ed etica
Tipheret
Eterogeneo (ed eterodosso) volumetto, contenente una serie di interventi riguardanti il Templarismo e gli ordini massonici. Del tutto fuori luogo, il contributo sulle origini e lo sviluppo del movimento valdese, di cui vengono messi in evidenza alcuni principii etici comuni con i movimenti neotemplari e le istituzioni massoniche (laicità dello stato, progressismo sociale, tolleranza, fratellanza), confermando, se ve ne fosse ancora bisogno, la più totale incompatibilità di queste organizzazioni con l'Ordine del Tempio. Altrettanto singolare, nel contesto, la presenza di una studiosa come Simonetta Cerrini.
Voto: 3/10

Luca Monti
Firenze città santa dei Templari
Aurora Boreale
Dopo tanti anni di studio, passati su libri e documenti, eravamo convinti che fosse Gerusalemme la città santa dei Templari. L'intenzione dell'Autore di questa breve opera, presentata in un formato editoriale a dir poco bizzarro, è «parlare della "Militia Christi", nome ufficiale dei Templari (sic!) in chiave esoterica più che storica, essendo infatti ormai stato sviscerato nei minimi dettagli l'aspetto storico dell'epopea templare». Tralasciando i vari strafalcioni storici contenuti nel testo, preme evidenziare  quanto sia vero il contrario, e cioè che mentre sui "Templari esoterici" è stato detto e scritto di tutto, restano ancora da indagare ed approfondire diversi aspetti del reale corso della storia rossocrociata. Se lo scopo di questa pubblicazione è quello di voler «far conoscere ad un pubblico più ampio, rispetto a quello dei salotti culturali tradizionali, quelli che erano i valori fondanti (sic!) del mondo medievale nel quale operavano i Cavalieri dell'Antico Ordine», corre l'obbligo di replicare che nei "salotti culturali tradizionali" si è soliti studiare (con serietà e sacrificio) testi e documenti. Di conseguenza, i veri "salotti" non possono che essere quelli frequentati da coloro i quali, al contrario, si dilettano, diffondendo delle assurdità mascherate da verità storiche. Concludiamo, consigliando al gentile Autore (nonchè "cavaliere post-templare") di lasciar perdere la Cavalleria del Tempio, che fu una istituzione seria e non merita di essere svilita in questa maniera.
Voto: 3/10

Mario Olivieri
Declino e fine dei Templari
Associazione Culturale Amici di San Bevignate – Provincia di Perugia
Perchè Dio ha abbandonato i suoi cavalieri all'umiliazione? A questa domanda, apparentemente retorica, Mario Olivieri tenta di dare una risposta attraverso l'analisi degli eventi susseguenti alla terribile sconfitta di Acri e alla perdita della Terra Santa.
Voto: 7/10

Cesare Stella
Pauperes Commilitones. La Croce e la Spada
Tipheret
Libro di carattere divulgativo e dall'approccio tipicamente amatoriale, come attestato dalla debole bibliografia. I concetti generali esposti risultano tuttavia corretti e privi di forzature, anche se si rendono necessarie alcune annotazioni. Ad esempio, i cavalieri dell'Ordine avevano diritto a tre cavalli (e non a quattro, come erroneamente riportato nel testo): una cavalcatura per il trasporto del corredo; una cavalcatura ordinaria, utilizzata per gli spostamenti; una cavalcatura per la battaglia. Inoltre, dalla lista dei maestri generali, riportata in appendice, risultano mancanti Guillaume de Chartres, Pierre de Montaigu e Richard de Bures.
Voto: 5/10

AA. VV.
Atti del XXX Convegno di Ricerche Templari
Penne e Papiri
Consueto appuntamento con la raccolta degli atti del convegno annuale tenuto dalla LARTI. Da non perdere.
Voto: 8/10

9 novembre 2013

Un grande templare: Ramon Sa Guardia


Appartenente alla nobiltà del Roussillon, Ramon Sa Guardia era fratello di Pons, signore di Canet-en-Roussillon, e di Bérenguer, vescovo di Vic, in Catalogna, mentre una sorella era badessa dell'abbazia di Santa Maria de Valldaura, al di là dei Pirenei. Ricevuto nell'Ordine a Saragozza, nel 1274, da Pierre de Moncada, diventa precettore di Mas Déu (1292), poi di Peñíscola (luglio 1295/marzo 1298) ed ancora di Mas Déu. Dopo l'arresto di Exemen de Lenda, maestro d'Aragona, Ramon, in qualità di luogotenente, assume il comando dei Templari della regione. Come "soldato di Cristo", non riconoscendo altra autorità se non quella papale, Ramon ordina ai suoi confratelli di barricarsi nei loro castelli e di resistere ad oltranza, armi alla mano. Egli stesso si chiude nel castello di Miravet.
Nel dicembre del 1307, Ramon scrive una lettera al re Giacomo e alla regina Bianca, in cui rammenta ai due sovrani che le loro conquiste in Spagna, così come quelle dei loro predecessori, sono conseguenti anche al sacrificio ed all'abnegazione dell'Ordine. Giacomo risponderà, nel gennaio 1308, ingiungendogli di sottomettersi all'inquisizione, ma la replica di Ramon sarà un invito a tutti i Templari superstiti a difendersi con ogni energia.

Alla nuova intimazione, Ramon si dichiara disposto a rispondere al papa, ma se le accuse sono di eresia, lui ed i suoi cavalieri saranno pronti a morire con le armi in pugno nei castelli conquistati ai Mori a prezzo di sangue. Ancora, qualche mese più tardi, Ramon ribadisce che accetterà le decisioni del papa, purchè "canonicas et legitimas", altrimenti a decidere saranno le armi. A novembre, il re d'Aragona fa recapitare a Miravet un documento che stabilisce le modalità della resa templare nel modo più onorevole possibile, ma Ramon non accetta, vuole una risposta dall'unica autorità riconosciuta, il papa. Prima dell'estate del 1309, i castelli tenuti dai Templari cadono uno dopo l'altro, sotto l'incalzare delle preponderanti forze reali ma, soprattutto, per evitare di versare sangue cristiano. Il re concede a Ramon di restare a Miravet, ma il precettore, condotto dapprima a Lerida e poi a Barcellona, chiede al papa l'autorizzazione a rientrare al Mas Déu, per condividere la sorte dei suoi confratelli.

Il 20 gennaio 1310, il Precettore di Mas Déu compare di fronte alla commissione che deve giudicare i Templari. Dopo aver esortato i propri confratelli a dire soltanto la verità, declina le proprie generalità: «Mi chiamo Ramon Sa Guardia, cavaliere, precettore della casa di Mas Déu dell'Ordine della Cavalleria del Tempio, nella diocesi di Elne»; dopodichè rispose alle domande postegli dagli inquisitori.
Alla prima domanda: «Anche se l'Ordine del Tempio sostiene di essere stato santamente istituito ed approvato dalla Sede Apostolica, tuttavia ogni membro, al momento della ricezione, o poco dopo, e non appena riesce a trovare un modo, nega il Cristo, a volte il crocifisso, Gesù, Dio, la Madonna e tutti i santi di Dio, secondo le istruzioni o gli ordini di coloro che lo hanno ricevuto» - Ramon risponde: «Tutti questi crimini sono orribili e straordinariamente spaventevoli e diabolici».
D: «Non si dice che Cristo è il falso profeta?»
R: «Io non credo di poter essere salvato, se non per il Signore nostro Gesù Cristo, che è la vera salvezza di tutti i fedeli, che ha sofferto la passione per la redenzione del genere umano e per i nostri peccati, e non per i suoi, perché non ha mai peccato e la sua bocca non mentiva mai».
D: «Non si sputa forse sulla croce e non la si calpesta sotto i piedi?»
R: «Giammai! E' per onorare e glorificare la santissima croce di Cristo e la passione che Cristo si è degnato di soffrire sul suo gloriosissimo corpo, per me e per tutti i fedeli cristiani, che io indosso, così come gli altri fratelli cavalieri del mio ordine, un mantello bianco su cui è cucita e fissata la venerabile immagine di una croce rossa, in sempiterna memoria del sacro sangue che Gesù Cristo ha versato per i suoi seguaci e per noi sul legno della croce che dà la vita. E aggiungo che, ogni anno, il giorno del Venerdì Santo, i Templari vengono senza armi, testa e piedi nudi, per adorare la croce, in ginocchio davanti a lei. E questo è ciò che, ogni anno, tutti i fratelli dell'Ordine, in occasione delle due feste della Santa Croce, in maggio e settembre, dicono: Noi ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo, Tu che con la tua santa croce hai redento il mondo».

All'ennesima domanda riguardante la corruzione dei costumi, di cui l'ordine è stato accusato, Ramon ribatte con la massima energia: «Secondo gli statuti del Tempio, quello dei nostri fratelli che commettesse un peccato contro natura, perderebbe l'abito del nostro ordine; i ferri ai piedi, la catena al collo e con le manette ai polsi, egli verrebbe gettato in prigione in perpetuo, nutrito dal pane della tristezza e abbeverato dell'acqua della tribolazione per il resto della sua vita».
Circa il proprio ricevimento nell'Ordine, precisa: «E' stato il fratello Pierre de Moncada, allora maestro e precettore in Aragona e Catalogna, che mi ha accolto come un fratello dell'Ordine del Tempio, nella cappella della casa di Saragozza, la domenica dopo la festa di San Martino, e sono circa 35 anni, in presenza e con l'assistenza di Guillaume de Miravet, di G. de Montesquiou, di Arnald de Timor, di Raimond di Monpavo, frati del Tempio, e diversi altri fratelli dello stesso ordine ora deceduti».

Nel marzo del 1314, il procuratore del re di Majorca, su ordine dell'arcivescovo di Tarragona, il quale assolve i Templari da tutti i crimini imputati, stabilisce che Ramon Sa Guardia possa risiedere a vita al Mas Déu, usufruendo, insieme ai suoi compagni, dei prodotti agricoli e del legname, senza però farne commercio. A partire dal mese di ottobre, viene fissata l'assegnazione di una somma di denaro, da corrispondere, ogni quattro mesi, a beneficio di tutti i Templari residenti nella ex-precettoria. Un censimento priorale, redatto dai giovanniti nel novembre 1319, conferma che al Mas Déu vivono sedici frati, ai quali viene corrisposta una pensione.
Ramon Sa Guardia morì certamente nel primo semestre del 1320, non figurando in un documento datato 13 giugno di quell'anno, in cui nove Templari superstiti danno quietanza di quanto loro corrisposto. E' questo l'ultimo atto in cui compaiono i fratelli di Mas Déu.

19 ottobre 2013

I Templari e la guerra


E' sempre un piacere segnalare degli ottimi libri, specialmente quando rappresentano delle vere e proprie oasi in un campo pressoché deserto, come quello degli studi riguardanti gli aspetti militari dell'Ordine del Tempio.

 

Per rimediare a tale carenza, consigliamo la lettura del volume "Les Templiers et la guerre", del bravissimo Damien Carraz, un libro che saprà certamente soddisfare l'interesse di chiunque voglia meglio documentarsi sul ruolo istituzionale dei Templari.

7 settembre 2013

Le tenute agricole dei Templari romani


di Enzo Valentini

Introduzione
Come è noto, gli insediamenti templari di Terrasanta avevano una funzione eminentemente militare, essendo finalizzati alla difesa ed al controllo dei territori conquistati dai Franchi a seguito delle spedizioni crociate. Il mantenimento di queste fortezze, castelli e casali fortificati, comprese le guarnigioni che li difendevano, assorbiva ingenti quantità di denaro, oltre che di cavalli, armi e vettovagliamenti. Per far fronte a queste spese, l'Ordine aveva creato in Occidente una rete di precettorie capaci di "produrre" quanto veniva "consumato" in Oriente. L'Oltremare costituiva quindi la linea combattente, il fronte, mentre l'Europa rappresentava le retrovie. La precettoria-tipo occidentale aveva la connotazione di una vera e propria azienda agricola, le cui attività principali erano la coltivazione e l'allevamento. Era completamente autosufficiente, mantenendosi con i suoi stessi utili; anzi, in effetti, doveva produrre di più del necessario, in quanto, come abbiamo visto, le eccedenze servivano per le esigenze della Terrasanta. I prodotti erano diversi in funzione della zona in cui era situata, dal momento che i Templari rispettavano le specifiche caratteristiche dei luoghi: quasi ovunque veniva coltivato il grano e quasi sempre si allevavano maiali; il sud dell'Italia e le regioni meridionali della Francia producevano il vino migliore e l'olio più buono, mentre dalla Spagna, dalla Camargue e dall'altopiano del Larzac provenivano i cavalli più adatti per il combattimento; forte era anche l'allevamento dei bovini, utilizzati come forza lavoro, e degli ovini, da cui si ricavavano lana, pelli, latte e formaggi. Il surplus poteva essere inviato direttamente in natura, come nel caso di cavalli, grano, olio, vino, oppure trasformato, nelle frequenti fiere mercantili, in denaro o in beni che la precettoria non era in grado di produrre, ma che erano di prima necessità, come ad esempio le armi. I Templari preposti alla conduzione delle precettorie, in genere dei sergenti, erano sottoposti a frequenti ispezioni da parte dell'Ordine, che controllava la produzione, le spese effettuate, la contabilità (molto attenta e precisa), i prodotti in magazzino. In caso di mancanze o di irregolarità il precettore veniva punito ed immediatamente sostituito; se invece la precettoria si dimostrava oggettivamente infruttifera o addirittura dispendiosa, si cercava di venderla o di permutarla, per non appesantire ulteriormente le finanze dell'Ordine. La natura prevalentemente agricola di queste precettorie viene documentata dagli interrogatori dei vari processi intentati ai Templari, durante i quali numerosi fratelli dichiararono di essere dei semplici contadini e di non sapere nulla di ciò che avveniva all'interno dell'Ordine; ad esempio, frà Vivolo di Sancto Justino, ascoltato dagli inquisitori il 10 giugno 1310 nel palazzo vescovile di Viterbo, affermò di essere "vilis conditionis in dicto Ordine, et ad negotia rustica deputatus" [1] e che "ruralis homo erat et agricola" [2].

Santa Maria in Aventino
Quella di Santa Maria in Aventino era una delle precettorie più importanti d'Italia, soprattutto per la sua vicinanza alla sede papale, che ne faceva un centro politico di primo piano. Nonostante ciò, pur non avendo una vocazione agricola, la precettoria possedeva molti appezzamenti di terreno; situati sia all'interno della cinta urbana che nelle immediate vicinanze, erano destinati a coltivazioni di vario genere, in modo principale grano e vite, colture fondamentali nel medioevo cristiano. Attraverso un inventario giovannita del 1339 [3] è possibile ricostruire in maniera alquanto fedele il patrimonio fondiario della precettoria a tale data, presupponendo alcuni beni, qui di seguito elencati, di derivazione templare [4]. Sono elencate innanzitutto quattro grandi tenute, tutte situate a grande distanza dalla città:
 - la tenuta di Tor Pagnotta;
 - la tenuta di Sant'Eramo;
 - la tenuta di San Migrano;
 - il tenimento di San Lorenzo di Castel Campanile.
Di questi possedimenti parleremo diffusamente più avanti. Seguono poi degli appezzamenti di minore estensione [5]:
 - alcuni campi, per 8 rubbia (circa 15 ettari) [6], situati presso le mura civiche a Testaccio [7]; 
 - delle vigne confinanti con i campi di cui sopra, il fiume Tevere ed il monte Testaccio [8];
 - un campo "vineato" (forse coltivato sia a grano che a vite) per 15 rubbia (circa 28 ettari), a Testaccio [9];
 - delle vigne per 3 rubbia (circa 5,5 ettari), poste presso le mura, fuori Porta San Paolo, tra la via Ostiense ed il Tevere [10];
 - delle vigne, fuori Porta San Paolo, tra la via Ostiense e la via Appia, con una estensione di 6 rubbia (circa 11 ettari), compresa la vigna Castagnola [11];
 - una vigna circondata da mura presso la chiesa di Santa Maria in Aventino [12];
 - un orto vicino alla suddetta chiesa [13].
Tranne questi due ultimi appezzamenti, gli altri sopra citati sono situati a cavallo delle mura cittadine, il cosiddetto recinto Aureliano di origine imperiale, nella parte meridionale di Roma a non molta distanza dalla precettoria. Il fatto che fossero accentrati in una zona ben delimitata della città, dimostra come i Templari cercassero di "raggruppare in insiemi coerenti" [14] le loro proprietà "di diversa natura e di superficie variabile..., e disperse dal punto di vista geografico" [15] per evitare un minore rendimento produttivo ed inutili spese di gestione. C'è da aggiungere inoltre che i primi tre possedimenti erano situate nella zona di Testaccio, il famoso Monte Testaccio di memoria imperiale, una montagnola di circa 35 metri costituita dai rottami delle anfore olearie e vinarie dei vicini magazzini annonari. Questo luogo "fu meta nel medioevo di processioni e di stazioni religiose, per le quali forse fin da allora fu sormontato dalla croce" [16] inoltre in questa zona esistevano, ed esistono tuttora, "delle grotte... che hanno la proprietà di mantenere freschissimi i vini" [17]. È possibile ritenere quindi che i Templari, oltre alla valenza religiosa, fossero interessati al luogo per la possibilità della conservazione della produzione agricola, o di altre merci deperibili, in attesa del loro trasferimento in Terrasanta; questo poteva avvenire utilizzando il vicino porto fluviale di Ripa Grande, già utilizzato in epoca romana, da cui le merci venivano indirizzate allo scalo marittimo di Ostia e qui imbarcate su navi più adatte alla navigazione d'alto mare.

Tenuta di Tor Pagnotta
Quella di Tor Pagnotta, situata tra le vie Laurentina ed Ardeatina, era una tenuta agricola con un casale fortificato da una torre, della quale sono visibili ormai pochi ruderi. Nell'inventario già citato [18] viene elencata insieme alle tenute giovannite di Torre Rossa e Torre di Pandolfo, che oggi formano la tenuta della Cecchignola-Priorato. Complessivamente aveva una estensione di 224 rubbia (circa 414 ettari), anche se nell'inventario figura di 294 rubbia, di cui 286 destinate a seminativo ed otto a boschi, prati e pascoli. La tenuta di Tor Pagnotta era entrata a far parte del patrimonio fondiario dell'Ordine nel 1259 [19]. Il 3 maggio quell'anno, infatti, il maestro d'Italia, Pietro Fernandi, dietro autorizzazione del gran maestro Thomas Bérard, aveva permutato i possedimenti che il Tempio aveva nel Lazio meridionale, e cioè: la rocca di San Felice Circeo, l'enfiteusi su Santa Maria della Sorresca, presso l'attuale Sabaudia, ed altri beni e terreni in Terracina e nei dintorni [20], ricevendo in cambio la tenuta di Tor Pagnotta, di proprietà del "Magister Jordano Sancte Romane Ecclesie vicecancellario et notario". Nel documento di permuta viene specificato che detto casale era situato nel distretto cittadino, nella contrada chiamata "Piliocti" che fu dei signori Nicola e Pietro, figli ed eredi di Pietro Rubei de Ripa, cittadino romano [21]. Vengono anche indicati i confini della tenuta: il primo lato, con i terreni dei fratelli Giovanni e Francesco Castellani e Giovanni Colonna; il secondo lato, con i beni della chiesa di Santa Maria dell'Aventino e con quelli del fu Paolo di Sant'Angelo; il terzo lato con le proprietà di Santa Maria di Scolagreca e San Salvatore di Santa Balbina; il quarto lato con la via pubblica [22]. Lo scambio viene effettuato in considerazione del fatto che le spese per la custodia ed il mantenimento della rocca di San Felice non portavano alcuna ultilità, anzi erano divenute troppo onerose e dispendiose; in più la tenuta era contigua ad altre terre e possessi della precettoria di Santa Maria in Aventino. I Templari, inoltre, desideravano migliorare la loro posizione, evidentemente territoriale [23]. Infatti, con questa transazione, i Templari di Roma, oltre a liberarsi della rocca di San Felice, insediamento economicamente in perdita, ampliavano in maniera omogenea i loro possedimenti agricoli e procuravano uno sbocco sulla via pubblica ai terreni già in loro possesso che confinavano con i nuovi acquisiti. Non sappiamo di quale via pubblica poteva trattarsi, se la via Laurentina o la via Ardeatina, due antiche strade romane in mezzo alle quali era situata la tenuta di Tor Pagnotta; entrambe, comunque, conducevano verso il sud del Lazio, in direzione della tenuta templare di Sant'Eramo. Il casale di Tor Pagnotta viene citato, negli atti del processo intentato ai Templari dello Stato Pontificio, dal testimone frà Vivolo di Sancto Justino, il quale afferma di aver fatto e visto fare elemosine in numerosi insediamenti del Tempio, tra cui la stessa Tor Pagnotta [24]; il fratello servente aggiunge anche che nel casale vi furono accolti molti poveri ed che ogni giorno veniva dato da mangiare a tre di loro. Quest'ultima affermazione fa presumere che la tenuta non avesse solo ed esclusivamente vocazione agricola, ma che fosse dotata di locali abitativi, oltre che per i Templari e per i contadini, anche per i pellegrini ed i poveri che vi potevano essere ospitati e rifocillati.

Tenuta di Sant'Eramo
La tenuta di Sant'Eramo corrisponde esattamente a quella denominata successivamente Maggione, situata nei pressi dell'attuale città di Pomezia; aveva una estensione di 100 rubbia (circa 185 ettari), di cui 70 destinate a coltivazione e 30 a bosco [25]. I suoi confini si possono rilevare da due atti di vendita del 1427 e del 1428 dove è specificato che "i confini che figurano negli istrumenti sono esattamente quelli di Sant'Eramo... cioè: Pratica...; Santa Procula; Solfarata; Petronella" [26], Nella testimonianza di frà Vivolo de Sancto Justino, di cui abbiamo parlato precedentemente a proposito di Tor Pagnotta, tra gli insediamenti nominati viene elencata anche Sant'Eramo. In un documento esistente nell'archivio romano di Santa Maria in Via Lata, e risalente al 1330 [27], la tenuta viene chiamata col nome di "Masone", derivato dal termine mansio, o mansione, con cui venivano in genere indicati gli insediamenti templari [28]. Purtroppo la zona indicata è stata stravolta da radicali cambiamenti, soprattutto a partire dagli Anni Trenta (fondazione della città di Pomezia, dei suoi insedimenti industriali, della nuova viabilità stradale e ferroviaria) e ciò ha reso difficile la ricerca sul territorio. Attualmente esiste, ormai inglobato dall'abitato cittadino, un casale chiamato "Maggiona", che però "non presenta tracce di costruzioni medievali" [29]. Nel catasto di Alessandro VII (1655/1667) la tenuta risulta unita a quella della "Maggionetta" dove era situata la torre omonima; questa viene descritta come "un'alta torre rettangolare di tre piani con due finestre per ogni piano, alla base si scorgono i resti di quello che doveva essere un antemurale" [30]. Interessante notare che in località Solfarata o Zolforata, uno dei confini della tenuta, siano situate delle cave di zolfo di antiche origini, utilizzate ancora fino a poche decine di anni fa; ciò fa ritenere che l'estrazione di questo minerale, sia all'interno di Sant'Eramo che nelle immediate vicinanze, potesse costituire una delle entrate della tenuta, ad integrazione di quelle derivate dalla coltivazione.

Tenuta di San Migrano
Nel sopracitato inventario giovannita vengono indicati i confini di questa tenuta: dal primo confina col Casale Annibaldi, dal secondo col Casale dei Santi Sergio e Bacco, (il terzo confine è mancante nel manoscritto), col quarto col Casale Nutuli (non identificabile) una volta di Nicola Benvenuti, dal quinto con Santa Pacora (non identificabile) [31]. Aveva una estensione di 80 rubbia (circa 148 ettari), di cui 70 destinati a seminativo e 10 a bosco [32]. È difficile rilevare esattamente la sua collocazione, dal momento che alcuni confini non sono identificabili; tuttavia il Silvestrelli, in base a documenti di epoca posteriore, afferma che "il tenimento di san Migrano conviene... cercarlo... verso l'attuale stazione di Pavona" [33] (a poca distanza da Albano Laziale). Rimase in possesso degli Ospedalieri per circa un secolo: in un documento del 1427, infatti, risulta frazionata tra numerosi proprietari privati, frazionamento che continuò anche negli anni successivi con altri passaggi di proprietà. All'interno della tenuta era situata la chiesa omonima di San Migrano, dove il 10 luglio 1310 vennero affisse le citazioni del processo dal nunzio Giovanni, rettore di Santa Maria della Stella [34]. Di questa chiesa non si hanno più tracce.

Tenuta di San Lorenzo di Castel Campanile
Il piccolo borgo di Castel Campanile è situato su una strada secondaria che, partendo da Palidoro, unisce la via Aurelia alla via Claudia Braccianese, una strada romana parallela della via Cassia-Francigena. Dell'abitato non rimangono che poche rovine, al punto che attualmente la località viene indicata come "Castellaccio". Il Tommasetti ne dà una descrizione, dicendo che "questo castello doveva essere fortissimo e grande, poiché occupava tutta l'estensione del banco [di trachite], come è dimostrato dagli avanzi delle torri e del muro di cinta. L'ingresso del castello doveva essere nel lato di sud-est, quasi all'estremità della spianata nel luogo pel quale appunto ora si arriva ad esso; è costruito parallelamente al castello e sui due lati sorgono due forti muraglie di quasi otto metri di altezza, in grandi parallelepipedi di trachite" [35]. Nel XV secolo il castello perse di importanza, forse a causa "della sua posizione su una strada divenuta secondaria che ne diminuiva l'importanza strategica" [36]. All'interno di Castel Campanile, i Templari possedevano la chiesa di San Lorenzo, come dimostrato dalle testimonianze raccolte durante il processo contro i Templari nello Stato della Chiesa: uno dei testimoni, il frate servente Gerardo da Piacenza, citando frà Alberto di Castell'Arquato, precettore di Castellaraldo, disse che questi aveva soggiornato nella chiesa di San Lorenzo di Castel Campanile appartenente all'Ordine del Tempio [37]. Non risulta che in questa chiesa vennero affisse le citazioni del processo. Il Tommasetti fornisce altre informazioni circa questa chiesa, specificando che "all'estremità settentrionale del castello..., sul lato di sud-est, doveva sorgere la chiesa nel recinto del castello, ma naturalmente fuori della rocca, come in tutti i castelli feudali della campagna romana. Della chiesa non rimane nulla tranne la parte di un muro in parallelepipedi irregolari..." [38]. Dalla chiesa di San Lorenzo dipendeva probabilmente anche la tenuta agricola omonima, situata nei pressi di Castel Campanile, al confine con il territorio di Ceri. Come dice il Silvestrelli, "questo fondo non apparisce negli atti processuali. Ma per analogia cogli altri qui menzionati della casa di Santa Maria dell'Aventino deve ritenersi che anch'esso pervenne all'Ordine [di San Giovanni] dai Templari" [39]. La tenuta aveva una estensione di 70 rubbia seminabili (circa 129 ettari) e, nell'inventario giovannita del 1339, si dice che il fondo confinava per tre lati con i possedimenti di tale Giovanni Stefani e per il quarto con il territorio di Ceri [40].

Conclusioni
Alla luce di quanto suesposto, risulta evidente come Santa Maria in Aventino rappresenti la struttura tipo di una precettoria del Tempio, con un insediamento principale a cui facevano capo le mansioni minori di San Migrano, San Lorenzo, Sant'Eramo e Tor Pagnotta. Tutte erano dotate di alloggi, sia per i fratelli che per i pellegrini ed i poveri che vi venivano accolti e rifocillati. Le prime due avevano anche una chiesa al loro interno per i servizi religiosi, sulla falsariga delle grancie cistercensi; per questa necessità i Templari di Tor Pagnotta probabilmente si recavano direttamente a Santa Maria in Aventino, mentre quelli di Sant'Eramo potevano arrivare alla vicina magione di San Migrano. Questi ultimi forse potevano utilizzare anche l'antica chiesa di Santa Procula, che però non sappiamo a chi appartenesse. Anche dal punto di vista produttivo e commerciale, Santa Maria rispettava i canoni imposti dall'Ordine: quasi sicuramente grazie alle grotte di Monte Testaccio, poteva svolgere in modo eccellente la funzione di raccolta e conservazione delle merci prodotte dalle vicine tenute, in attesa di poterle imbarcare al porto di Ripa Grande sul Tevere in direzione di Ostia e del mare aperto. In conclusione possiamo affermare che anche lo studio di semplici tenute agricole, che sembrerebbero di minore importanza ai fini della conoscenza della storia dell'Ordine del Tempio, in ultimo si dimostra utilissimo per la ricostruzione della vita quotidiana, delle relazioni tra insediamenti, e per l'analisi della produzione della ricchezza utilizzata per il mantenimento della struttura militare. Questo perché senza i semplici fratelli di mestiere ad negotia rustica deputati, i fratelli cavalieri, i sergenti, i turcopoli e tutti gli altri combattenti non avrebbero mai potuto svolgere il loro eroico compito della difesa della Terrasanta.


Note

1) A.Gilmour-Bryson, "The trial of the Templars in the Papal State and Abruzzi", Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1982, p.216.
2) Ibidem, p.222.
3) "Liber prioratus Urbis Ord. S.Johannis Jerosol. an. 1339 (sed 1334)", Cod. Vat. 10372. Pubblicato (per la parte relativa al Lazio) in G.Silvestrelli, "Le chiese e i feudi dell'Ordine dei Templari e dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme nella Regione Romana", Rendiconti della R.Accademia dei Lincei, Serie Quinta, vol.XXVI, Tip. dell'Accademia, Roma 1917, pp.531/539.
4) Silvestrelli, cit., p. 516: "Beni della casa di S.Maria dell'Aventino, e perciò, come essa, pervenuti all'Ordine dai Templari".
5) Ibidem, p.518: "Tutti questi beni non figurano, né avrebbero ragione di figurare negli atti processuali. Ma la loro stessa vicinanza a S.Maria dell'Aventino mostra all'evidenza che pervennero all'Ordine di S.Giovanni di Gerusalemme dai Templari".
6) Per il valore del rubbio si è fatto riferimento all'equivalenza di 1 rubbio = m2 18.484 (1 rubbio = 2 rubbiatelle, 1 rubbiatella = 2 quarte), secondo quanto proposto da A.Cortonesi, "Terre e signori nel Lazio meridionale-Un'economia rurale nei secoli XIII-XIV", Liguori Editore, Napoli 1988, p.25.
7) "Liber prioratus..." in Silvestrelli, cit., p.535: "Item fines Campi Testaccie, a primo latere via publica; ab alio sunt muri urbis; que possunt esse rubla VIII".
8) Silvestrelli, cit., p.535: "Item fines vinearum testatie, a primo latere via que incipit ad arcum VI Vesperis pertinentem ad portam S.Pauli, ab alio flumen Tiberis et Sancti Jacobi in Nona, ab alio sunt muri Urbis, ab alio mons Testatie et campum Testatie".
9) Ibidem: "Item quandam petiam vineatam positam in monte palii, cui undique sunt vie; que possunt esse omnes in sementa XV rubla grani".
10) Ibidem, pp.535/536: "Item vinee posite in Penna vetula, a duobus tenet dominus Paulus Magistri Luce, a pede flumen, et a capite via publica, que possunt [esse] III rubla grani".
11) Ibidem, p.536: "Item vinee posite in Ortis Prefecti, scilicet ab uno latere via publica, a duobus lateribus Guttarelle, a pede rivus, ab alio latere Ciminutelli ecclesie S.Georgii; que possunt esse in semente VI rubla grani, cum vinea Castangiole".
12) Ibidem, p.535: "Item quedam vinea circumdata muris, posita in parte S.Marie de Aventino".
13) Ibidem, p.536: "Item ortum S.Marie de Aventino iuxta dictam ecclesiam".
14) A.Demurger, "Vita e morte dell'Ordine dei Templari", Garzanti, Milano 1987, p.139.
15) Ibidem.
16) "Guida di Roma e dintorni", a cura del T.C.I., Milano1977, p.439.
17) Ibidem, p.440.
18) "Liber Prioratus...", citato.
19) "Regesta Chartarum-Documenti dell'Archivio Caetani", Perugia 1921, p.36, n.1931. Pubblicato anche da T.Bini, "Dei tempieri e del loro processo in Toscana", Ed. Penne & Papiri, Latina 1994, pp.21/26.
20) Viene esclusa una casa, posta in Terracina in contrada Posterula, che l'Ordine decise di tenere per sé. Bini, cit., p.23: "Locum Sancti Felicis cum omnibus juribus et pertinentiis suis et spetialiter cum domibus Turri vineis terris cultis et incultis silvis nemoribus pratis pascuis montibus collibus fontibus aquis acquarum decursibus plagis venationibus piscationibus honoribus utilitatibus nec non cum tenimento seu Loco aut quocumque alio nomine censeatur quod dicitur ad Sanctam Mariam de Surresca cum omnibus aliis terris silvis possessionibus juribus pertinentiis que dictus Locus S. Felicis et dictum Tenimentum quod dicitur ad Sanctam Mariam de Surresca habet vel habere debent de jure intus et extra civitatem Terracinensem et per totum territorium et dioces. Terracinensem et alibi per totam maritimam etiam extra Territorium predictum excepta solummodo quadam Domo quam dictus Locus S. Felicis habet intus in civitate Terracinense in loco ubi dicitur Posterula juxta murum civitatis ejusdem quam predicto Ordini Militie Templi integre reservavit".
21) Ibidem, p.23: "Casale situm in districta urbis in contrata que vocatur Piliocti quod fuit Dominorum Nicolai et Petri filiorum et heredum quondam Petri Rubei de Ripa Civium Romanorum".
22) Ibidem, p.23: "A primo latere possident nobiles Viri d. Johannes Castellanus et Franciscus fratres et Dominus Johannes de Columpna. A secundo predicta Ecclesia Sancte Marie de Aventino et heredes quondam Pauli de S. Angelo. A tertio Ecclesia Sancte Marie de Scolagreca et Sancti Salvatoris de Sancta Balbina. A quarto est via publica vel qui alii sunt et considerans quod etiam Casale contiguum est et confine sicut dictum est aliis terris et Casali dicte Domus S. Marie de Aventino".
23) Ibidem.
24) Gilmour-Bryson, cit, pp.220/221: "deposuit quod ipse fecit et fieri vidit elemosinas in dicto ordine in... Sancto Heramo, et in Pingioctis... in qua dabantur elemosine pauperibus ad hostium et dabant comedere tribus pauperibus omni die; et vidit etiam plures pauperes hospitari in locis dicti ordinis et iacere...".
25) Silvestrelli, cit., p.535: "quod casale potest esse in semente LXX rublis et in silvis XXX rubla".
26) Ibidem: "Item fines Casalis Sancti Herami, a primo latere castrum Solforate, a secundo tenuta que vocatur Peronella, a tertio tenimentum que (sic) vocatur Puteus Jordanus, que tenuta est de tenimento Patrice, a quarto Casale S. Pictuli quod est Monasterii S. Pauli...".
27) A.Nibby, "Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma", Tip. delle Belle Arti, Roma 1849, 1837, vol.II, p.284.
28) L.Imperio, "Metodologia nella ricerca templare", Ed. Penne & Papiri, Latina 1996, p.4.
29) G.M.De Rossi, "Torri e castelli medievali", De Luca Ed., Roma 1969, p.58.
30) Ibidem.
31) "Liber prioratus..." in Silvestrelli, cit., p.535: "Item fines Casalis Sancti Migrani, a primo latere Casale Anibaldi, a secundo casale Sanctorum Sergi et Bacchii, a quarto [manca il terzo confine nel manoscritto] Casale Nutuli olim Nicolay Benvenuti, a V Santa Pacora".
32) Silvestrelli, cit., p.535: "possunt seminari LXX rubla, et silvis X rubla".
33) Ibidem, p.517.
34) Gilmour-Bryson, cit, pp.233/234: "Iohannes rector Sancte marie de Stella retulit... se hodie die Xa dicti mensis appendisse seu affixisse cartam sive membranam continentem publice citationi... in hostis ecclesie Sancti Migrami dicti ordinis militie Templi".
35) G.Tomassetti, "Campagna romana, antica, medievale, moderna", a cura del Banco di Roma, Tiferno Grafica, Roma 1975, vol.II, p.650.
36) A.C.Cenciarini-M.Giaccaglia, "Rocche e castelli del Lazio", Newton Compton Editori, Roma 1982, p.131.
37) Gilmour-Bryson, cit., p.193: "[Gerardus de Placentia] dixit tamen et deposuit quod audivi dici a fratre Alberto de Castro Alquatro de comitatu Placentie dicti ordinis qui morabatur in ecclesia Sancti Laurentii de Castro Campanilis dicti ordinis, quod...".
38) Tomassetti, cit., vol.II, p.651.
39) Ibidem, p.516, nota 5.
40) "Liber Prioratus...", citato in Silvestrelli, cit., p.535. altri testi consultati o G.Bordonove, "La vita quotidiana dei Templari nel XIII secolo", BUR-Rizzoli, Milano 1989. o F.Bramato, "Storia dell'Ordine dei Templari in Italia-Le fondazioni", Atanòr, Roma 1991.